
In un momento in cui la composizione per flauto, soprattutto quella con live electronics o con mezzi informatici sta andando verso un accrescimento sonoro, Sciarrino propone esattamente il contrario, ossia riscoprire il mondo nelle sue sorgenti, con una complessità teorica che vuole giungere alla semplificazione e alla comprensione universale dei messaggi a nostra disposizione. Ispirato da un sonetto di Marino, All'aure in una lontananza è una confluenza di novità tecniche sviluppate in seno alla propria creatività e a quella dello stimolo creato dagli esecutori (Fabbriciani, Graverini) e porta in dote angolazioni del flauto mai sperimentate sul trillo armonico, su alcune combinazioni di air noises e sulla disciplina delle dinamiche rinvenibili dai fischi ottenuti dalla compressione violenta dell'aria. Ciò che sembrava un tentativo una tantum di entrare nella composizione per flauto, si rivela qualche anno dopo essere l'inizio di un vero e proprio ciclo dedicato allo strumento, un unico approfondimento che in pochi anni vede Sciarrino comporre sorretto da una creatività debordante: sebbene All'aure in una lontananza non venga capitalizzato al di fuori dei circoli contemporanei, è al contrario, meravigliosamente apprezzato all'interno di essi, dando luogo a ripetute situazioni di imitazione. E' così che Sciarrino, dal 1984, intraprende con gradualità temporale un percorso specifico per il flauto solo, che è una miniera di scoperte: armonici, tongue rams e fischi d'aria accompagnano la scrittura di Hermes e Come vengono prodotti gli incantesimi?, mentre trilli armonici e timbrici sono il sostentamento di Canzona di ringraziamento. Nell'89, grazie a Venere che le Grazie la fioriscono, Sciarrino amplia le tecniche soffermandosi sugli effetti prodotti dall'imboccatura ostruita e sul tocco delle chiavi, così come in L'Orizzonte luminoso de Aton partorisce idee ed immaginativa musicale grazie a multifonici specifici e ai "rumori" del flauto, filtrati dalla respirazione; in Fra i testi dedicati alle nubi, la ricerca di Sciarrino ottiene una vera e propria epifania di vibrazioni sonore, con scoperte che possono addebbitarsi solo a lui: i fischi di Sciarrino diventano un marchio personale studiato in tutto il mondo, così come succede con il lieve rumore meccanico provocato dal rilascio improvviso delle chiavi (l'opposto del click su di esse). Tutto contribuisce a quella meravigliosa saldatura tra filosofia, coscienza, aneliti di ricerca musicale e ricerca spirituale.
Alla fine del secolo Sciarrino ha messo su qualcosa di unico, sul quale confrontarsi; le sue aperture a determinate congiunzioni dell'immaginazione aurale diventano anche oggetto della capacità di comprendere le innovazioni, richiedendo un salto nelle esperienze d'ascolto dell'audiance e degli esecutori; l'incontro con Mario Caroli è determinante per migliorare quanto fatto dal compositore con Fabriciani ed è l'occasione di una revisione dell'intero ciclo sul flauto, che viene corroborata in concreto nell'aprile del 2001, nel Duomo di Città di Castello, dove si incontrano Sciarrino, Caroli e il tecnico del suono Marco Capaccioni. Il progetto è quello di rifare per intero il ciclo aggiugendo i pezzi che Sciarrino aveva scritto per Caroli o comunque che prevedevano l'esecuzione di Caroli, in vista di una registrazione per la Stradivarius. Il risultato che ne venne fuori fu semplicemente fantastico: se si dovesse usare la terminologia del collezionismo discografico si dovrebbe parlare di registrazioni da incorniciare come più sapide di tutti i tempi: L'opera per flauto in due volumi diventa un miracolo di virtuosismo e di produzione, perché da una parte incastona Caroli tra i grandi flautisti contemporanei in virtù di un'interpretazione eccelsa della partitura, dall'altra fornisce un sound naturalmente equalizzato senza nessuna manipolazione post-produttiva, una levigatura che riesce a smussare persino i battimenti o clicks della tastiera; tre sedute notturne, due postazioni microfonate utilizzabili a seconda dell'esigenza, con l'amplificazione naturale della chiesa che riesce ad equilibrare le dinamiche, ossia la forza della principale caratteristica-innovazione da curare nella composizione al flauto di Sciarrino. Dunque una forza della trasfigurazione, ribadita nelle note da Sciarrino stesso che sostiene che "...per ritrovare il senso delle nostre azioni quotidiane, bisogna attraversare lo stupore. Lo stupore di un'utopia che si rivela...." (dalle note del cd-vol. II). E la rivelazione continua anche nei nuovi pezzi che compongono il secondo volume, caricato di sofisticazioni che denotano anche un certo cambiamento di prospettiva del compositore, sempre più votato ad un'esperienza cinetica della sua musica: L'orologio di Bergson o Morte tamburo scovano un mondo emozionale che si trova negli stacchi, nella diteggiatura e nelle occlusioni, una compenetrazione fantastica tra musica, attesa filosofica e visualizzazioni aurali, dove il flauto dà voce ad un pensiero attraverso le sue evoluzioni, le sue reazioni o i suoi movimenti.

_________________
Note:
la foto Caroli-Sciarrino è tratta da Milanoplatinum.com