Giorgio Netti e la necessità di interrogare il cielo


Le opere importanti lasciano il segno in vario modo: il ciclo di composizioni per sax soprano che Giorgio Netti mise assieme dal 1996 al 1999, condividendo il suo lavoro con Marcus Weiss, ha assunto le caratteristiche di una svolta nell'ambito del repertorio contemporaneo per lo strumento. Sono perciò arci-gradite nuove interpretazioni di un ciclo di brani che ha una valenza di eccellenza sotto molti punti di vista.
Netti e Weiss avevano pubblicato già in passato un cd per Durian per accogliere "necessità d'interrogare il cielo", e già in quella sede avevano ricevuto un'ampia e giusta considerazione: se provate ad accedere al sito del compositore, vi renderete conto di come Netti abbia raccolto tutte le osservazioni e i consensi in una pagina dedicata (vedi qui): in essa, grazie ai commenti critici, si possono scoprire gran parte delle qualità del ciclo, un'immersione unica ed incredibile negli armonici e multifonici. Tiro fuori alcune parole od espressioni usate dai suoi commentatori, che inquadrano bene il suo lavoro: ombre sonore, clima sacerdotale, moto lento con vibrazioni, impressioni narrative, nuovi territori sonori, estetica acustica tendente all'esplorazione di un bosco sotterraneo di meditazioni. 
La Kairos ripropone il ciclo con molta sagacia, capendo benissimo che i tempi sono più che maturi per nuove celebrazioni del ciclo, qui affidate al bravissimo sassofonista Patrick Stadler; in più viene aggiunta Ultimo a lato, composta da Netti nel 2005. In un momento in cui c'è una forte apprensione verso le tecniche estensive, i quattro episodi di "necessità d'interrogare il cielo" ribadiscono come l'esplorazione compositiva al soprano sax sia partita già da tempo grazie all'apporto di Netti. Dato il largo ed immediato consenso che la musica di "necessità d'interrogare il cielo" subisce, in questo mio breve scritto recensivo non starò a ripetervi quanto già affermato a proposito della sua musica (splendida, trascendentale, percorso ideale per vivere in musica il bagliore e le proliferazioni dei suoi dintorni), ma vorrei puntare l'attenzione sul fatto che Netti sperimentò sugli indotti d'aria di uno strumento che, nella musica estensiva classica, non aveva ricevuto le adeguate attenzioni; fino al quel momento erano stati gli improvvisatori jazz ad aver avuto le maggiori cure per un allargamento degli orizzonti. Nella logorroica attività musicale che li caratterizzava, Braxton aveva tirato fuori le partiture grafiche di Composition 113 (1984), Mitchell equidistribuiva le forze con le altre tonalità, mentre Steve Lacy aveva già cominciato ad impostare la propria elasticità. Gli ascolti discografici restituiscono un avvicinamento maggiore ad armonici e multifonici forse solo dopo il 13 Friendly Numbers di John Butcher del 1991 (altri improvvisatori del tempo che si insinuano in queste facoltose maglie delle estensioni strumentali sono Ned Rothenberg e l'italiano Gianni Gebbia), mentre nella musica contemporanea le estensioni sul soprano sono soprattutto trascrizioni di pezzi utilizzati per oboe o altri sassofoni: ciò che potrebbe solo avvicinarsi al lavoro di Netti è la trascrizione di Dmaathen di Xenakis, istruita per oboe; il campo di ricerca di Netti resta distante dalle consuetudini, anche rispetto al bignami delle tecniche estensive della Sequenza di Berio. 
Il lavoro di "necessità d'interrogare il cielo", perciò, acquista una valenza storica fondamentale, perché ufficialmente nella composizione c'è qualcuno che si sforza di presentare suoni mentalmente organizzati del soprano, senza essere succubi di un processo improvvisativo. C'è una volontà del comporre, con i suoi mezzi tecnici ed espressivi, che intuisce che alcune configurazioni sonore sono in grado per tempo e ricchezza sonora di abbattere i muri delle incomprensioni. Il riferimento filosofico al Columbus di Holderlin è l'esplicazione di una similitudine d'intenti in cui Netti si ritrova: le scoperte di cui ci vantiamo non sono altro che verifiche di elementi già disponibili in natura, ed il peso vero va attribuito non alla scoperta in sé per sé, quanto alle vibrazioni, alle emozioni che la scoperta produce, una caratteristica dell'immediatezza che, a ben vedere, ha relazioni con la fantasia e l'intensità della nostra vita. Ecco perché bisogna interrogare il cielo.



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