Mi è molto difficile poter stare al passo con le novità dei musicisti, specie nel ramo dell'improvvisazione, dove spesso tutto ciò che viene suonato è oggetto di una registrazione (magari anche sommaria); ho perso un bel po' del mio tempo per questa selezione di cds o lavori digitali in forma free improv, ma spero che beneficerete del mio sforzo per comprendere il valore di quello che qui di seguito vi propongo:
Parto da Luis Ianes, argentino, che ha pubblicato Antiguas Construcciones Utiles, un cd di chitarra elettrica in solo ed effetti, veramente particolarissimo, molto fuori dal comune che ha, incorporato nei suoni, un progetto morale. Si tratta di 13 tracce che farebbero pensare più ad un musicista che sta effettuando il rehearsal prima di un'esibizione, per via degli effetti scomposti che crea; invece, più si ascolta e più si comprende come ci sia una logica complessiva, anche importante: Ianes manda in circolo armoniche ferrose, suoni metallici che sembrano provenire da un'officina, scariche di elettricità e tessiture puntellate, che sono il corrispettivo di una ricerca privata sicuramente non breve; Ianes compie un lavoro che vuole determinare uno shock, un ribaltamento di prospettiva, e per farlo trasparire nella musica si serve del potere che effetti e corde detengono, che, se impostati in un certo modo, sono in grado di creare un subdolo collegamento tra tutto ciò che ci circonda (e che fa suono) e una modalità del pensiero (che è filosoficamente sbilanciato per un reset totale); Ian mi ha scritto dicendomi che "...it is a work of live super-impositions of time, density and space. Somehow a reflection on those ancient obsolete objects that are all around us and the reconstruction of purpose and meaning that sometimes we have to do in order to survive, much like Robinson Crusoe alone in the island...". Sta di fatto, che qui tutto funziona benissimo e Antiguas construcciones utiles può stare alla pari con certe improvvisazioni di Thurston Moore o di tanti chitarristi anticonvenzionali.
Saliamo su negli Stati Uniti nella Bay Area, per un altro solo, quello del pianista Eli Wallace, con una registrazione fatta durante un'esibizione al Scholes Street Studio lo scorso anno; Barriers è improvvisazione libera con molti cambi di atmosfere, con forza e soluzioni particolari che si svolgono dentro/fuori dal piano; Wallace è free sulla tastiera, sperimentale negli interni, dove si sostenta con strappi di risonanza, raschiamenti sulle corde, ricerca di fruscii, pizzicature, manovre che si conciliano saltuariamente con la tastiera. Alla fine, Barriers convince moltissimo su un aspetto forse non tanto idealizzato nell'improvvisazione, ossia la potenza e la quantità di energia che può essere impressa ai produttori di suono del pianoforte (dicasi corde): Wallace abbraccia uno spazio ampio, che è anche quello di un'idea da gestire in grande consapevolezza, come il manager che deve organizzare la sua rete aziendale; egli crea un mosaico di situazioni con più risvolti, che crea molte situazioni di contenuto sfruttando l'intensità di tutte le parti dello strumento. D'altronde la sua bravura poteva essere già discerna nel cd Dialectical imagination con il batterista Rob Pumpelly, pubblicato a novembre scorso per Leo R. (vedi qui la mia recensione).
Spostiamoci a New York. Del clarinettista Jeremiah Cymerman vi ho già parlato (vedi qui). Il suo nuovo lavoro, dal titolo Decay of the Angel è un altro splendido episodio della sua carriera; i più attenti alle classifiche specialistiche avranno notato come Cymerman non manca mai, sia come musica prodotta che come musicista. In Decay of the Angel si proietta in una sperimentazione assolutamente di valore ai clarinetti, opportunamente aggiustata in fase di post-produzione: 7 pezzi di improvvisazione che fanno sembrare il clarinetto qualcosa fuori dal normale, che producono stati di ansia ma estremamente affascinanti dal lato sonoro, poiché le idee, i tagli e le modificazioni sintetiche compongono un moderno puzzle che può essere letto in un senso specifico. Nelle scritture buddiste il decadimento dell'angelo è ampiamente trattato e decodificato negli atteggiamenti che lo determinano, ma Cymerman si è riferito al libro omonimo di Yukio Mishima, che tratta della storia di un vecchio giudice che adotta un orfano pensando che sia la reincarnazione di un parente; Cymerman è probabilmente più lugubre di Mishima nell'adottare il significato del decadimento, che per lui è quello della società moderna e non solo della vecchiaia, e la sua musica potrebbe allora incarnare un disperato vuoto esistenziale, ma nessuno può obiettare la qualità e l'apprensione positiva che la sua musica rilascia.
Un bell'intervento sul contrabbasso ci viene offerto da Daniel Barbiero in Fifteen miniatures for prepared double bass: tra i più eclettici contrabbassisti della scena mondiale, Daniel migliora come il buon vino e qui sfrutta una strategia di preparazioni dello strumento: un battente, la parte immersiva di un frullatore, pinze, pennelli, oggetti di contrasto, un arco modificato; è la prima volta che si cimenta in pezzi brevi e lo scopo è cercare suoni nell'imprevedibilità ed instabilità di uno strumento modificato nel timbro, attraverso un gesto o un motivo. Ne viene fuori un'inaspettata capacità camerale fatta di tanti umori, piuttosto lontana dall'ordinarietà: da una parte risonanze strane, dall'ombra quasi sintetica, dall'altra gli schiocchi, le distorsioni o le costrizioni della cordiera, che proiettano una movimentazione che mi ricorda, per le sue dinamiche, gli scambi vocali degli antichi tribunali dell'Aak coreano; lo spessore delle Fifteen miniatures, dunque, si misura sullo sfondo psicologico del gesto e le sue sfumature, e tiene conto di alcune scoperte, così come confermatomi dall'artista stesso: a proposito del pizzicato mi dice che il "...pizzicato is more controllable on prepared strings, and sometimes it can sound like a gamelan or prepared piano even (I use alligator clips for that)...".
Trasferiamoci nel Nord Europa e paventiamo la causa nordica. Non nascondo che, negli ultimi tempi, ho ridotto un pò la mia enfasi sull'improvvisazione nordica, forse perché non riesco più a trovare prodotti e musicisti eccellenti; tuttavia, qualche volta, sono loro a cercare me: è il caso del sassofonista islandese Tumi Arnason, che mi ha presentato un duo con il batterista Magnus Trygvason Eliassen. Il lavoro si chiama Allt er ómælið, e si tratta del primo duo sax-batteria in chiave free impro in terra d'Islanda. L'accento viene posto sul suono e sulle risonanze di alcune linee melodiche del sassofono (anche con l'elaborazione elettronica), in modo che sullo sfondo del clima acceso dalle percussioni si crei un voce chiara, molto presente timbricamente; tra le tante dimostrazioni di valore, Kul kul è quella che più mette in evidenza le doti tecniche di Arnason, e reclama anche un'idea di totalità, dove c'è il jazz, la sponda sintetica, il pilotaggio dell'escursione free (l'unico pezzo dove si infittisce il clima harsh è Perfect Animal); lo scopo è dunque quello di sfruttare le relazioni acustiche, soprattutto quelle che transitano da stati densi ai toni smorzati, il quasi silenzio. Sembra di ascoltare Sonny Rollins che va a caccia di fantasmi.
Molto interessante è anche la proposta che arriva dal violinista Hans Kjorstad, che qui è unito al trio Miman, composto da Andreas Hoem Røysum a clarinetto e chitarra, e Egil Kalman, al contrabbasso e sintetizzatore modulare. Stora mängder rymdgrus (che in italiano dovrebbe equivalere a Grandi quantità di ghiaia nello spazio) è free improvisation da scenari, con gli strumenti che impongono un vocabolario di suoni sperimentali, rigorosamente estesi, con l'impeto della scoperta ed una dialettica un pò da decifrare. Kjorstad dichiara che "...through developing extended techniques on the violin and observing tonalities and rhythms in our surroundings, I try to absorbe such ideas in my own playing. My music can sometimes sound post-electronic, but it is by all means inspired by pre-technological times..."; si evita così di cadere negli imbuti concettuali di musicisti come Jeff Morris, le cui "vere" operazioni elettroacustiche lasciano di sasso in negativo. Qui le capacità di estendere liberamente con gli strumenti va inquadrata con la presenza di contenuti emotivi (tipicamente immagini aurali) e un percorso filosofico di rappresentazione del rovescio, così come documentato dalla copertina che si rifà al Firmamentum Sobiescianum di Hevelius. Su questo punto, restano delle piccole porte aperte, perché lo scopo rappresentativo del trio "...regarding weightless objects and the speed and distance between them..." cerca una dimensione adulta definitiva.
Scendiamo un pò giù l'Europa. Un collettivo interessante di matrice paneuropea è il quartetto Mount Meander formato dal lettone sassofonista Karlis Auzins, dal pianista tedesco Lucas Leidinger (che ho in passato recensito qui), del contrabbassista danese di origine polacca Tomo Jacobson e il batterista tedesco Thomas Sauerborn: il loro esordio per Clean Feed è stato molto apprezzato dalla critica, tuttavia penso che il secondo cd, che li ritrae in un'esibizione a Berlino nel novembre del 2017 possa aumentare gli estimatori del quartetto. Live in Berlin è free improv fatta molto bene, che risente dell'ottima formazione dei musicisti, tutti provenienti da esperienze fatte con improvvisatori consolidati, di una generazione precedente alla loro. C'è un filo conduttore negli 8 pezzi che compongono il live, che gettano ombre su temi consistenti dell'attualità e ne riproducono una propria essenza musicale: si incrociano "fasi" esecutive con "pensieri" abnormi, flussi ed impulsi di un musica che trae la propria forza dalle intese del collettivo.
Sappiamo tutti che il jazz-rock o la fusion music difetti di soluzioni originali o quanto meno di un certo peso. Nelle sue strutture l'improvvisazione sembra non sia più in grado di esercitare una presa e la standardizzazione è sempre dietro l'angolo. Negli ultimi anni dalla Svizzera arrivano cose sempre molto interessanti, come è il caso del Trio Heinz Herbert, formato dai fratelli Landolt (Dominic alla chitarra elettrica e Ramon al sintetizzatore) e Mario Hanni (batteria), che nel 2017 si impose all'attenzione della critica e degli appassionati del jazz trasversale con un cd per la Intakt, il The Willisau concert, una vera sorpresa che è finita anche nelle mie playlist annuali. La replica arriva da Yes, che continua sulla linea dell'ottimo livello raggiunto dai tre musicisti che ribaltano quel principio di sterilità dell'improvvisazione di cui parlavo prima: finalmente strutture adulte, spesso vicine a quei principi di modularità che sembrano una pecularietà di quella zona geografica, variazioni ritmiche che fanno parte del mondo dell'alienazione free jazz, una forma chitarristica che mescola Fripp ed Hackett e tanti bei suoni confezionati al synth, non retorici. La libera espressione profusa in Yes procura anche quella qualità artistica necessaria per evitare i confronti, fa parte di un girone di un inferno di cui sfugge qualcosa alla conoscenza perfetta, riesce a lavorare su una propria autonomia: una sintassi raggiunta con molta fantasia, una distribuzione che riempie cuore e cervello e, in definitiva, un valido allungamento delle pretese post-moderne della musica.
Veramente molto buone sono le sensazioni lasciate anche da Was soll schon passieren, un cd digitale del musicista tedesco Markus Reineke, passato in tempi recenti dall'elettronica all'improvvisazione elettroacustica: il lavoro che vi segnalo è stato pubblicato dalla Panyrosas R. e in esso Reineke mette in pratica un esperimento che mi rimanda ai processi di Lucier e concettualmente a quelle scatole cinesi che si creavano in I am sitting in a room; è un percorso tendente alla sottrazione, che nel caso specifico si ottiene improvvisando su parti improvvisate, precedentemente cancellate (improvisations over erased improvisations); la manipolazione avviene rimettendo in circolo lembi di suoni ricavati da oggetti, microfoni a contatto, field recordings, synths, leggere percussioni e un flauto dolce. La risposta alla titolazione è che accadono molte cose buone, che presuppongono livelli alti di conoscenza dei mezzi utilizzati e lavorano in favore di un clima dinamico ma che non passa inosservato; e così, nell'astrattezza, si possono aprire ricordi e correlazioni del pensiero a cui non avremmo mai pensato di poter accedere.
Chiudo con un cd confezionato in California ma con tanta ispirazione cinese: le improvvisazioni sono del Lijang Quintet, 3 musicisti cinesi (il sassofonista Lao Dan, il chitarrista Li Xing e il percussionista Deng Boyu, ossia i tre componenti dei Red scarf, una band rock-noise) con 2 americani (il clarinettista John McCowen e la violoncellista Theresa Wong, conosciuta internazionalmente per le sue registrazioni a casa di Zorn e le collaborazioni importanti con Ellen Fullman, Carla Kihlstedt, Fred Frith e molti improvvisatori della Bay Area). Si tratta di uno scambio culturale che mescola la musica tradizionale cinese e l'improvvisazione libera, dove ciascuno dei musicisti porta la sua esperienza, la propria mentalità, le proprie traslazioni caratteriali del momento; e nell'integrazione, che si annuncia rara, è possibile scorgere ricomposizioni nuove di un mondo che invece trascura questo tipo di operazioni, materia di possibile riconciliazione con il suo futuro.