Lauren Redhead: interfaccie elettroniche e tempo verticale


Spesso le avanguardie portano dentro concetti complessi e sperimentali che sono un'arma a doppio taglio per la musica e il suo contenuto emotivo. E' incredibile, però, come molti di coloro che si sono occupati di spingere i confini della musica aldilà del conosciuto, abbiano compiuto operazioni di pregio e godibilissime anche per l'ascolto: senza la benché minima volontà della composizione, la complessità è riuscita comunque a materializzarsi nei territori dell'emotività, captando quanto per i compositori resta un problema secondario, a disposizione della soggettività degli individui (a torto).
Anche i progetti della compositrice Lauren Redhead sono in possesso di questa complessità: organista attiva, musicologa con le doti della pensatrice, Redhead aveva già fatto un primo esordio su queste pagine, nel tradurre in musica le immagini entoptiche, percezioni visive che si producono all'interno del globo oculare (vedi qui); oggi ritorno con più forza su di lei, perché si delineano con sempre maggior chiarezza le direttive della sua musica. Il motivo del mio interessamento sta in un lavoro digitale pubblicato ancora dalla Panyrosas D., che ricalca la particolarità e la validità di molti elementi: per Hearmleoþ—gieddunga si comincia a trovare significato fin dai testi e si finisce con l'attrazione esercitata dalla musica e le sue trasmissioni sensorie, in un progetto compo-improv dai multipli campi d'azione.
Un'originale e perspicace idea viene realizzata sui testi, collegati alla letteratura anonima anglosassone antica, in particolare alle poesie The Wanderer, The Seafarer, ed altre del periodo antico inglese: l'abito che ricevono dalla Redhead è quello di scansioni narcotizzate dall'elettronica al limite della loro presenza fisica, un linguaggio di cui cogliere evidenza nella visione del tutto, di cui resta solo una cadenza, una sorta di influsso magico monitorio instaurato nella musica; in alcuni casi la Redhead si serve anche di modifiche fatte con il sistema dell'OuLiPo (le combinazioni matematico-poetiche creative del movimento fondato da Raymond Queneau e Francois Le Lionnais). 
La partitura è grafica, condizionata dai procedimenti dell'elettronica e dalle pratiche performative, ma con alcuni accorgimenti che la rendono molto vicina alle esigenze dell'esecutore, perché cerca di sintonizzarlo con il panorama sonoro messo in piedi dalla compositrice: non è quindi libera improvvisazione quella che si presenta, ma un'improvvisazione concettuale, direzionale, memore delle tante esperienze incrociate della composizione con l'improvvisazione dai tempi di Treatise in poi; inoltre la Redhead si preoccupa di integrare la musica con considerazioni estetiche di natura socio-semiotica: l'esecutore si inoltra nello spirito di problemi universali che insistono sui desideri dell'anima, lavorando alla segnaletica ricavata dalle immagini antiche. Del tipo:
"..Indeed, I cannot think why my soul does not darken when I contemplate the lives of people throughout the world..."
"...my heart urges my spirit to go forth and seek the homelands of foreign people far from here...".

La musica è costruita su tre livelli: il primo è naturalmente compositivo, ed accoglie le propensioni di Lauren sulle capacità dell'organo a canne di tenersi dentro una struttura interattiva, con tutte le diavolerie delle tecniche (pratiche performative, fixed notated score, live electronics); a tal scopo è coaudiavata dall'apporto di Alistair Zaldua, che sintetizza alcuni strumenti (violino, contrabbasso, percussioni) e interagisce con il software di Max/Msp nell'ambito di una ben delineata strategia (secondo livello); il terzo livello raccoglie quanto validato dal vivo e lo riporta in studio per una programmazione e masterizzazione completa (i due musicisti si sono affidati a Josh Cannon). 
Il risultato finale è un'eccellente saldatura tra antico e presente, con suoni che si mischiano il sangue nelle loro differenti identità sonore e temporali. Prendete Glìwmaeden, che sfrutta il rimbombo dell'organo ed un clima misterioso con frustate metalliche: la sintesi è fatta benissimo, c'è un filtro pesantissimo sulle voci, che si avvertono ipnagogiche, ma in quel poco di riconoscibilità che si assume nell'ascolto, sono capaci di esprimere una sensazione oniricamente inquietante, sono 10 minuti in cui sembra di entrare e vivere in una cava con tante interferenze di fondo amplificate (il tema delle cave è stato affrontato specificatamente dalla Redhead in un progetto precedente in cui si rifaceva all'arte di interpretazione pittorica e scritturale delle cave dell'antica Grecia, con tanto di sillabario musicale a supporto).
In Leopcwide l'organo portato su certe frequenze sostiene un rotolio metallico ed un allucinata poetica di voci femminili al limite dell'udibile: come se Ray Manzarek fosse finito in un girone dell'Inferno; cadenze deboli e recitazione in estremo sottofondo si uniscono a un campo disordinato di sintetiche costruzioni in Ingenga, pezzo in cui si fa fatica a riconoscere un violino o un'organo data la super frammentazione che subiscono, con multiple colorazioni e soluzioni, ma la sintesi complessivamente funziona, perché il fatto di sentire tutto e niente incolla l'attenzione; una feroce e totalizzante repressione dei suoni avviene in Séo nìedhaemestre; se tidfare, una linea sintetica in accordo con una sostanza depressiva dei suoni, dove la trasformazione è crittografica, un attrito di polveri che si dimena; leopcppe/leopelelande ritorna al clima ingabbiato, con elaborazioni sonore sempre molto pertinenti, poesia lanciata nell'etere che debolmente lavora sull'eco come negli altoparlanti di una una stazione vissuta solo nell'immaginazione sonora.
C'è un predominante carattere isolazionista nel tessuto musicale creato da Redhead e Zaldua, qualcosa che lo avvicina moltissimo di spirito alla disfatta servita in musica da molti musicisti dell'elettronica attuale non accademica. Le frasi forgiate dalla Redhead si attaccano ad un'avversione degli atteggiamenti degli uomini, vorrebbero ricomporre la chiusura di un cerchio, dove l'inizio è basato su fasi documentate (teoricamente male) della loro vita antica e la fine è il presente. Il narratore della Croce del Cristo di The dream of the rood, gli Assiri di Giuditta o gli inglesi sconfitti della The Battle of Maldon si lagnavano come ci lagniamo noi oggi, ma dispiegano anche una speranza: tutti questi poemi ambientati intorno al 1000 dopo Cristo hanno anticipato la nascita della cultura occidentale (per quanto riguarda la musica Ildegarda cominciava a seminare nel suo monastero), perciò l'auspicio è che si riparta con rinnovate misure e mezzi idonei ad una nuova epopea culturale, in cui sarà indispensabile la compagnia delle soluzioni informatiche. Se la relazione con l'interfaccia elettronica non è certo una novità nel campo musicale, tuttavia pochissimi autori sono riusciti nel compito di far comprendere un tempo musicale nell'ambito dei processi esecutivi: al riguardo si parla di tempo verticale, un concetto che la Redhead e Zaldua hanno spesso discusso in convegni o interventi scritti, evidenziando o sostenendo un parco di composizioni idonee allo scopo (vedi qui).  

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