Sembra sempre più sbiadita la considerazione che Célestin Deliége faceva a proposito della composizione spagnola: le difficoltà nel disimpegnarsi dal colore tradizionale e un controverso avvento dell'atonalità, resa neutrale dalla politica e dall'immobilità del sistema artistico spagnolo, sembrano argomenti che oggi non hanno più senso. Nell'olimpo dei giganti contemporanei europei, Deliége salvava solo Cristobal Halffter e Luis De Pablo, oggi ne dovrebbe ammettere le molte e nuove direzionalità.
Nell'affrontare il tema della composizione al pianoforte è necessaria un'indispensabile premessa sul ruolo avuto da questo strumento nella musica contemporanea spagnola. Se risaliamo un pò alle origini, anche un pò più indietro di quanto faceva Deliége, non si fa fatica ad affermare che i compositori spagnoli hanno fatto tesoro di una sequenzialità formativa che ha evitato di addentrarsi in territori impervi, ma ha sviluppato anche temi specifici: a differenza di paesi come Francia, Germania o Italia, dove ad un certo punto il pianoforte ha cominciato ad essere seriamente studiato nei suoi interni, nel rapporto con le strategie e strutture compositive, nelle possibilità offerte dalle sue preparazioni e nei rapporti con le tecnologie, in Spagna si è preferito seguire, nella maggior parte dei casi, un approccio basato sulla concentrazione, del trovare soluzioni sulla tastiera, sfruttando al massimo tutti gli elementi correlabili; mentre i paesi europei citati si accingevano ad entrare in una fase di normalizzazione e surplus di un certo tipo di repertorio, basato su composizioni con utilizzo delle parti esterne o interne del piano od utilizzo di elettronica, in Spagna si faceva fatica a reperire l'interesse su questo tipo di motivazione compositiva.
Se si fa un'analisi delle opere per pianoforte della migliore composizione spagnola, si notano aderenze ben precise: il compositore Joaquim Homs applicò meravigliosamente la serialità, approfondendo con gusto la lezione di Roberto Gerhard (in un arco di tempo che va dalle Variations on a popular theme del 1949 alla Presencies del 1967), così come nei pezzi di pianoforte dei sessanta Tomàs Marco portava avanti un ideologico carico strutturalista appreso nelle lezioni di Darmstadt (Fetiches tra tutti); d'altro canto compositori come Luis De Pablo, Francisco Guerrero Marin e Cristobal Halffter per il piano scelsero di attaccarsi alla matematica e di avvicinare lo spirito degli esperimenti casuali che aveva pervaso John Cage: si ricordano le operazioni di Libro para el pianista del 1961 di De Pablo, l'Op. 1 Manual del 1976 di Guerrero Marin e la Cadencia di Halffter del 1983. L'oblio su questa tipologia di operazioni, che comunque non aumentava di un centimetro le forme di sperimentazione negli interni del pianoforte, arrivò ben presto: le generazioni successive di compositori spagnoli preferirono costruire certezze seguendo le impostazioni di molta musica contemporanea evoluta, ma evitando ancora di porre fuori dalla tastiera le loro prerogative; per questo motivo compositori come Homs e Marco hanno avuto probabilmente una maggiore presa nello sviluppo di una modernità pianistica che accettava di lavorare sodo sulle risonanze, sulle combinazioni armoniche, le tessiture, le dinamiche, etc. senza deragliare: al riguardo si possono consultare con profitto le opere pianistiche di J.M. Lopez Lopez, che dà un seguito ai concerti per piano di De Pablo e Halffter (oltre al suo concerto del 2005 vanno ricordati i Movimientos per 2 piani ed orchestra, e Lo fijo y lo volàtil, che mi risulta essere uno dei primi tentativi riusciti di utilizzare il piano con gli arrotondamenti dell'elettronica), J.M. Sanchez Verdu (tra cui estrarrei l'Estudio 2, Deploratio III e il recente Jardin De Agua), C. Camararo (la Finale del '93), J. Rueda (sceglierei Mephisto), Gabriel Erkoreka (specie i suoi Zortzikos) e Ramon Lazkano (vedi successiva recensione del suo cd Piano Works).
Qualcosa però sembra cambiare nell'ormai ventennio raggiunto di questo nuovo secolo, grazie agli orientamenti strategici di due compositori spagnoli che hanno organizzato una diversa avanscoperta sullo strumento, coltivata negli ambienti francesi o tedeschi: si tratta di Hector Parra e Alberto Posadas; mentre il primo, nelle sue più recenti evoluzioni compositive, ha quasi istituito un metodo di incontro-scontro per il pianista che lavora con gli interni del piano (vedi i due cicli per il piano dedicati all'arte e all'architettura), con una bellissima articolazione teorica a sostegno, il secondo ha ripreso con coraggio il live electronics, ma soprattutto ha creato l'Erinnerungsspuren, un ciclo di composizioni che cerca di stabilire dei contatti con il materiale di Couperin, Schumann, Debussy, Stockhausen, Scelsi e Zimmermann, partendo totalmente dal filtro delle preparazioni interne, delle risonanze amplificate, e dei tesori della microtonalità proposti dalle tecniche estensive; ne vengono fuori scoperte sonore utilizzabili in un contesto di diversiformità del piano (un termine improprio che veniva utilizzato da Jean Pierre Dupuy), qualcosa che è in grado di suscitare nuove emozioni o sconvolgimenti della mente abituale, ma sono passaggi obbligati, per scoprire in che maniera possono essere interpretati i suoni una volta che sono stati lasciati liberi di fluttuare.