Il trombone contemporaneo

Si può ragionevolmente affermare che alla fine dei settanta del secolo scorso, la materia avanguardistica del trombone fosse quasi totalmente esplorata. Grazie a composizioni come il Solo for sliding trombone di Cage, la Sequenza V di Berio, il Bolos di Rabe & Bark, il One Man di Johnston, il Res/As/Ex/ins-pirer di Globokar o il Ricercar à 5 di Robert Erickson, gran parte delle tecniche e dei segreti nascosti del trombone era stata rivelata: microtoni, multifonici, alea e produzioni di suoni attraverso le parti dissemblate dello strumento, vocalizzazioni, respirazioni appropriate, glissandi armonici, concettualità teatrale e spaziale, percussività, effetti ed uso di sordine, erano la manna dal cielo che si aspettava per inquartare lo sviluppo dello strumento e svincolarlo dai soliti utilizzi. Naturalmente a questa lista di procedure andava aggiunto l'argomento dell'elettronica, partendo dalle operazioni ai nastri (una compiuta e sapida operazione di interposizione con il trombone venne fatta da James Fulkerson in Force fields and spaces), passando dalle splendide spiegazioni dei tromboni spettrali dei Partiels di Grisey ed arrivando ai dispositivi Ghost Box del Morton Subotnick di The Wild Beast
Se avete la pazienza di sintonizzarvi subito dopo questo mosaico che vi ho descritto, dal 1982 in poi, e vi mettete all'ascolto delle maggiori produzioni contemporanee al trombone intervenute dopo quella data, vi accorgerete della mancanza di innovazione che è intervenuta: tutto suona irrimediabilmente uguale. Fu probabilmente questa motivazione che spinse molti musicisti e praticanti dello strumento verso l'improvvisazione, verso le preparazioni ed una più congrua materia tecnologica: fu così che un trombonista come Stuart Dempster, consapevole aderente della deep listening della Oliveros, sintonizzò ad un certo punto la sua ricerca nelle cappelle e nelle cisterne, lavorando poi di post-produzione (Underground overlays from the Cistern Chapel). 
Il repertorio della composizione al trombone ha continuato a subire una fortissima espansione, che ha cercato di arginare l'invariabilità creativa del repertorio, ricorrendo ad un aumento delle tecnologie, anche se non sempre con frutti adeguati dal lato dei contenuti emotivi: ad esempio, l'Animus I di Francesconi è certamente una composizione vincente e ben pensata rispetto alle ambiguità dei loops di Slipstream di Florian Magnus Maier; la Trasfiguration di John Palmer affidata a Vinko Globokar non aggiunge nulla allo stesso modo di quanto fa la bella sordina nel Trombone concerto di Kalevi Aho. Sebbene il grande trombonista svedese Christian Lindberg si lamentasse della carenza di autori propensi a scrivere per il trombone, è sotto gli occhi di tutti l'aumento consistente della scrittura effettuata nei confronti dello strumento, circostanza a cui non si sottraggono nemmeno i compositori più quotati del nostro secolo: Georg Friedrich Haas, ad esempio, ha scritto un concerto sul trombone affidandolo a Svoboda e soprattutto ha rinverdito la materia microtonale con Octet for 8 trombones (vedi qui). Ciò che però si deve evidenziare è l'esistenza di punti di vera continuità della composizione, che non siano solo espedienti ben confezionati dal lato delle concettualità, in grado di giustificare ponti previsionali della materia: tra le recenti composizioni contemporanee dedicate al trombone, darei particolare riguardo a quella di Pierre Jodlowski in Outer space, in cui la fusione tra tecnologia, prestanza teatrale degli esecutori e ruolo della musica assume massimi livelli: spazi virtuali, coordinamento dei movimenti del musicista con le telecamere, e video-immagini che sottolineano le fasi demiurgiche della musica; ma soprattutto un trombone a cui vengono dati nuovi compiti (vedi qui).



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