Voci nere. Storia ed antropologia del canto afroamericano

Nella confusione propinata dai più seguiti mezzi d'informazione musicale, si continua a perpetuare l'errore di non lasciar spazio adeguato ad un certo tipo di creatività dei musicisti, soprattutto al fine di schiarirne il lato identitario. Quando si analizza la situazione degli afroamericani ed in particolare quella dei cantanti, che sono oggettivamente il lato più sensibile e diretto per ottenere un consenso, la carenza informativa la fa da padrone perché gli stimoli più seri non vengono presi in considerazione e ciò consente di invilupparsi nelle proprie imperfette credenze. Fortuna vuole che ci siano ancora musicologi che, con le adeguate coperture finanziarie, sono disposti a fare indagini serie, macinare chilometri per acclarare fatti, sviscerare tendenze e svelare nuovi canali di sviluppo. 
Il libro Voci nere. Storia ed antropologia del canto afroamericano di Gianpaolo Chiriacò soddisfa queste caratteristiche: basandosi su un progetto pluriennale di ricerca da convalidare a Chicago, Chiriacò si è trasferito per più di due anni nella città statunitense avvalendosi del Center for Black Music Research, uno dei centri più rinomati degli Stati Uniti per quel tipo di ricerca, e si è gradualmente avvalso di una serie di contatti che lo hanno portato ad avere rapporti con una parte dei migliori contesti artistici della città collegati al canto; questo suo libro è il resoconto di questa esperienza, ampliata con la discussione musicologica, la stenosi politica e la proiezione degli ambienti e degli eventi, che hanno avuto un seguito anche a New York. Chiriacò, nello specifico, intercetta un paio di obiettivi a cui ha dedicato i suoi sforzi: da un lato confermare la particolare natura antropologica del canto degli afroamericani, dall'altro delineare una scena musicale autonoma, ambiguamente considerata, ma che viaggia in parallelo con quelle più riconosciute, ed è in grado di donare rinnovata credibilità alla materia del canto nero, dopo tante critiche di normalizzazione e abbandono d'interesse.
Per quanto riguardo il primo obiettivo (confermare la natura antropologica del canto) Chiriacò si avvale, oltre che dei testi già conosciuti, anche dell'analisi delle testimonianze del Federal Writers Project, un libro di interviste fatte agli ex-schiavi negli anni quaranta/cinquanta, del film 12 Years a slave di Steve McQueen, riadattamento dei racconti veri di Solomon Northup del 1853 e delle implicazioni storiche che influenzano le perfomance delle cantanti ancora oggi, in particolare dedicando ampio spazio a Lena McLin, Nina Simone e Mahalia Jackson. Per il secondo (delineare nuovi sviluppi) si fa tesoro delle indicazioni che provengono dalla musica e dalle arti ad essa relazionati, discutendo le posizioni di artisti come Theaster Gates, Yaw Agyeman, Nick Cannon, Napoleon Maddox, fino a coprire il lavoro di preziose cantanti come Mankwe Ndosi o Pamela Z.. Per entrambi gli obiettivi Chiriacò risalta la propria impostazione di pensiero, condivisibile alla luce di una serie di informazioni ed atteggiamenti verificati su base reale o induttivamente, insinuando con forza anche il rischio politico che soggiace sotto le sue analisi, fatte nel periodo immediatamente precedente all'elezione di Trump.
Sintetizzando molto (il saggio è fatto di 200 pagine piene di informazioni e considerazioni interessanti) la teoria di Chiriacò vira su alcuni punti non modificabili:
a) non esiste una timbrica strettamente ricollegabile al canto nero. Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrano che le prodezze vocali degli afroamericani non siano replicabili in altra parte del mondo; non c'è nessuna qualità black indisponibile per altri gruppi etnici, ma solo una serie di consolidate abitudini della vocalità che si riflettono sulle impostazioni dei cantanti; 
b) esiste invece una cartografia profusa dal canto nero: si tratta di forme espressive che sono il risultato emotivo di una memoria "sonica" che abbraccia l'intera storia, una storia fatta purtroppo di schiavitù, di divisioni di razza e vicoli ciechi della politica;
c) l'esistenza di una Chicago musicalmente e culturalmente alternativa a quella rinvenibile nella sostanza borghese: l'esempio di Gates, come esponente di una riorganizzazione degli spazi di quei quartieri secondari e a rischio, tende a mostrare che le attività del canto possono essere appannaggio di musicisti pluridisciplinari nelle arti, che sono in grado di evitare la gentrificazione;
d) una scrematura ben pensata degli artisti è auspicabile per verificare la validità dei nuovi corsi e dei messaggi che si portano dentro: il beatboxing, lo spoken word, le pratiche marginali del canto e le formule improvvisative più o meno estensive tracciano nuove versioni dell'identità afroamericana.
Voci nere. Storia ed antropologia del canto afroamericano è un saggio che vi consiglio caldamente, semplice e scorrevole nel linguaggio, e soprattutto prezioso per coloro che non avevano mai avuto modo di partecipare alle conferenze o incontri di Chiriacò in Italia. 

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