Alle prime esibizioni del gruppo AMM partecipò anche Paul McCartney, che restava tra il pubblico degli ascoltatori: il famoso cantante inglese rimase sbalordito dalla musica degli AMM, dichiarando che i quattro musicisti suonavano musica che era totalmente avanti con i tempi. Era il 1966, anno in cui i Beatles sfornavano camei di musica popolare guardandosi intorno a ciò che succedeva nel mondo della musica classica e non c'è dubbio che ci fosse un fascino verso certe operazioni di Stockhausen o dell'elettronica francese. In quel gruppo di improvvisatori McCartney probabilmente riconosceva un valore universale nell'organizzazione dei parametri musicali, qualcosa che si potesse replicare; in un percorso a ritroso, si può dire che gli artisti pop tendevano a trasferire nelle impostazioni della loro musica quanto già ideato e sistemato nella musica classica; l'esperimento degli AMM (in cui un posto fondamentale lo deteneva il chitarrista Keith Rowe) sosteneva per la prima volta impianti improvvisativi rinnovati sotto vesti elettroacustiche, ma erano già in molti coloro che nei sessanta consideravano gli idiomi dell'improvvisazione come libera ed istantanea composizione.
Lo stimato critico musicale Brian Olewnick si è dedicato totalmente al chitarrista inglese, scrivendo The Room extended, una bellissima biografia su Rowe, un libro corposo in cui ha ripreso tutta la storia del chitarrista fin dalle origini; con molte notizie appropriate e la conoscenza dell'artista, Olewnick ha cercato di suggerirci la grandezza di un musicista, raccontandoci fatti essenziali della sua vita, che incidono immediatamente su un'epoca particolarmente sentita in Inghilterra, una che vide sbocciare diverse novità nella musica; poco prima della creazione degli AMM (con Prévost, Gare e Cardew), Rowe era un jazzista che ruotava intorno a Mike Westbrook e al giro di Surman, con in serbo solo una predisposizione verso il musicista pensante e politicamente istruito che si farà avanti con gli anni. L'analisi di Olewnick, disposta in capitoli temporalmente progressivi, è particolarmente addentrata nell'avventura AMM compiuta da Rowe, attentissima a proporci una visuale aggiornata del gruppo, più per motivi musicali che per fini storici. Dopo 53 anni il fascino di quella speciale condensazione di elementi musicali è irrimediabilmente intatto, e Rowe ha maturato molte convinzioni che probabilmente nel passato non ammetteva pienamente; la bravura di Olewnick sta nel fatto che la descrizione storica viene accompagnata da affermazioni di Rowe (prese anche da riviste o interviste già conosciute), per confermare che, di fronte alla creatività, dietro c'è un pensiero frutto di una preparazione adeguata. Ogni scoperta o sperimentazione ha un riflesso nei suoni, ed è errato parlare di improvvisazione come lo sviluppo di una musica senza regole: Rowe aveva compreso che esisteva un mondo di suoni sotto gli strumenti che andava sollevato, che poteva essere oggetto di una texture musicale al pari di una vissuta nella teoria classica, dove persino il rumore poteva essere trattato con i criteri organizzativi dei parametri musicali. Oltre ad aver pionerizzato il live electronics nell'improvvisazione, ad aver creato un tabletop in cui la chitarra è sezionata e parte di un tutto più ampio di oggetti e risuonatori elettrici, Rowe è un compositore sotto mentite spoglie: usa strategie, inventa forme musicali sul momento, mettendo in discussione la libertà idealizzata dalla free improvisation e i processi anarchici, conclusioni manifestate nel 2007 in un'intervista, in cui dichiara che "...I think a lot of us can see improvisation as a form of composition because when AMM sat down to play, it wasn't actually completely free. Our original notion that "any sound was possible" is no longer true because there's a whole raft of stuff that is not possible. In fact, you could say that we are hemmed in by all the things that are not possible to do. Then it becomes compositional..." (pag. 325).
Nel libro, oltre ad un'accurata analisi di tutta la discografia AMM (la quale per omogeneità valutativa vi sfida a trovare l'episodio migliore dell'intero lotto discografico), ci si riconnette all'esperienza similare dell'aggregazione sperimentale di Mimeo (che, peraltro, costruisce similitudini con le esplorazioni in AMM-style), nonché si attua un'ampia selezione di quanto Rowe ha profuso come solista o in collaborazioni (una selezione che, naturalmente, si svolge quasi interamente negli anni dopo il 2000): sotto quest'ultimo aspetto Olewnick è coerente nel riconoscere l'importanza di lavori seminali come A dimension of perfectly ordinary reality, dei duetti con i chitarristi dell'Onkyo movement (tra cui indispensabile è Weather sky con Toshimaru Nakamura), e delle numerose collaborazioni intervenute in tanti anni (tra le quali vengono vantaggiosamente valutate quelle con John Tilbury), tralasciando alcune, probabilmente anche più riuscite dal punto di vista musicale (vedi quelle con Kim Cascone, per esempio). Il periodo con Tilbury ha segnato un evidente incremento di una caratteristica musicale di Rowe, ossia l'uso pronunciato del silenzio negli interstizi evolutivi delle trame: soprattutto gli ultimi Enough still not to know e Sissel hanno mostrato un'aderenza a quanto è provenuto da una parte del mondo musicale, quello imparentato con le sculture sonore, il Wandelweiser group e i prodotti da "riempimento del silenzio" della Another Timbre Record.
Il libro è poi completato da alcune appendici: un'intervista ad Eddie Prévost fatta da Trevor Taylor nel magazine Drums & Percussion e collegata ai saggi di Rowe, da alcune note fornite da Rowe sul Treatise di Cardew (un'opera fondamentale dell'improvvisazione che non può temere di essere dimenticata), un botta e risposta con Dan Warburton in forma di test per The Wire, su certi albums ed opere trasversali della storia musicale, nonché uno scritto di Lutz Eitel su una qualità di Rowe sempre molto evidenziata dalla critica, ossia l'appoggio della pratica improvvisativa alle consuetudini del dipingere e alle arti visuali, circostanze che consentirono a molti commentatori della musica di Rowe di effettuare paragoni con l'arte di Rotko, Twombly, Duchamp ed altri autori: un'esibizione di Rowe (vedi una recente qui) significa divorare in un sol colpo le certezze di secoli di composizione, ed entrare in una dimensione sconosciuta, una zona di espansione dell'udito che Olewnick chiama "claustrofobia" vicina all'orecchio dell'ascoltatore, un tavolo di resulta di sibili, stridori, parti elettroniche e detriti sonori di vario genere: cacofonie molto meno brutali di quanto io descriva, però. E il titolo del volume di Olewnick prende origine proprio da un'idea ossessiva di Rowe (tramutata anche in cds), di una "stanza" dei bottoni dalla memoria amplificata, in cui poter far confluire messaggi virtuali e politici, linee multiple di voci, suoni e castrazioni elettroacustiche, qualcosa che implori lo stupore del mondo, anche in un momento così delicato per certi argomenti.