Where the wild things are: Oliver Knussen

Una domanda che molti ascoltatori di musica potrebbero sollevare nel giudicare la musica di Oliver Knussen (1952-2018) è la presunta somiglianza a quella di Elliott Carter. In realtà, pur essendo stato il più splendido esecutore dell'americano e averlo magnificato in molte storiche incisioni discografiche tramite la sua conduzione, Knussen possedeva una luce propria che ebbe modo di sintetizzare nella sua composizione; in un'intervista rilasciata a Bruce Duffie in occasione di sue rappresentazioni eseguite a Chicago, Knussen ebbe modo di spiegarla attraverso la lente dell'ascolto: "....It's simply a question of keeping things as clear as possibile, even when there's a lot going on. I always find it very interesting, for example, talking to Elliott Carter. He said that most people whom he had heard write music that is much too complicated. If you actually look at his music, the individual parts are very difficult but they're very clear and they're very straightforward and unambiguous. It's the layering of them that makes the complexity. My music's much more conservative harmonically than Carter's, and a lot more transparent, but that's because I concentrated a great deal on making it simple.. or not simple but keeping it under control...".
Penso che il suo "marchio" possa essere verificato tramite la splendida Symphony n. 3, una composizione che arriva dopo il Concerto per orchestra di Carter nel 1969 e che può essere messa in parallelo con la sua A Symphony of three orchestras del 1976, anni in cui prendeva vita la Symphony n. 3 di Knussen. La scomparsa di Knussen non priva il mondo della musica solo di un eccellente direttore d'orchestra adorato dal mondo anglossassone (non solo Carter, ma anche splendide esecuzioni su Julian Anderson, Colin Matthews, Alexander Goehr, etc.), ma di un uomo serio, decisamente professionale nel suo lavoro, che negli spazi dedicati alla composizione si sforzava di porre l'accento sulle capacità e sul potere dei suoni come elementi per colmare quel gap cognitivo-emotivo che la musica contemporanea serbava inesorabilmente al suo interno. Per autorevolezza e stazza mi scappa un'equivalenza magnifica con Maderna.



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