Gli albori dell'improvvisazione libera inglese nei racconti di Trevor Barre

Sebbene esistessero molti contributi sulla nascita e l'evoluzione dell'improvvisazione libera inglese, ciò che mancava ancora era una sorta di fascicolazione unica degli eventi, qualcosa che potesse anche determinare un filo logico e critico, in una marea di spunti di vario titolo (saggi, inserzioni accademiche, recensioni di cds, interviste, etc.). Trevor Barre, appassionato di questa musica e forte di una lunga permanenza a Londra costruita sulla passione e la conoscenza diretta degli artisti, ha pensato di raccogliere, in una sorta di collana a più puntate (più libri divisi per generazioni), ciò che era stato detto sull'improvvisazione inglese e ciò che si era disperso di essa per effetto della dimenticanza. 
Il primo libro di Barre è stato pubblicato in edizione limitata nel 2015: Beyond jazz: Plink, plonk & scratch, The golden age of Free music in London 1966-1972 è diventato presto introvabile e attualmente l'unico modo di leggerlo è quello di acquistare da Amazon il file Kindle; sono meno di nove euro, però, spesi benissimo, perché Barre riesce nell'intento di coagulare la storia con la riflessione, l'aneddoto e tante informazioni di varia natura. Barre fa ricordare un po' le usanze di Polillo, quando scriveva sul jazz italiano e non nasconde la sua completa adesione ad un modello che vede l'improvvisazione libera come una costola del jazz: da una parte l'opera di raccordo delle citazioni è molto ben gestita e condita con quel gusto della sensazione e della scoperta che non può mancare in un ascoltatore evoluto, dall'altra si recupera finalmente il "racconto", esibendo conoscenze fortissime con umiltà (Barre ammette lui stesso di non essere un accademico) e fornendo un quadro preciso del contesto storico che ruotava intorno alle dinamiche degli improvvisatori jazz e liberi. Barre parla di Free Music dopo una lunga analisi sulla correttezza del termine attribuito ad una musica che ha dovuto convivere con una separazione terminologica che delimitava gli ambiti della "libertà" sulla base di un idioma; ma ciò che si arguisce dalla lettura è che comunque resta la disponibilità per l'apprezzamento di musiche che vanno oltre l'idioma jazzistico, anche a costo di farsi male le orecchie: è sintomatico e divertente lo scambio di opinioni che Trevor ha con sua moglie, che coinvolta in più riprese negli ascolti casalinghi di Barre, lancia sentenze definitive: "...a racket...; ...another toe-tapper, eh, Trevor?...; ...you've really excelled yourself with this one, Trevor..." (vedo delle somiglianze fortissime con mia moglie, che nel tempo ha usato espressioni differenti per criteri simili). 
Il libro viene diviso in capitoli, sottolineando le eccellenze: la prima è il The Little Theatre Club di Londra, luogo dove si crea e si consuma principalmente l'attività performativa inglese; è da questo locale londinese che partono le esperienze di John Stevens, Trevor Watts, Evan Parker e Derek Bailey e tanti altri. La materia musicale viene affrontata ponendo alla base di tutto lo Spontaneous Music Ensemble e l'AMM ed in generale l'attività associativa che permea la scena musicale inglese di quegli anni. Non solo vengono indicati Lp o ristampe cd (più o meno disponibili) che sono ampiamente conosciuti tra gli appassionati del genere, ma c'è anche spazio per la riscoperta di registrazioni ritenute minori: in tal senso, accanto ad una disamina attenta di musicisti importanti come Evan Parker, Derek Bailey o Barry Guy ci sono lodi e registrazioni consigliate su musicisti scarsamente discussi nella letteratura improvvisativa come Tony Hoxley o Howard Riley. 
Beyond jazz: Plink, plonk & scratch come primo volume riesce benissimo nell'intento di segnalare una "diversità": sebbene Barre faccia di tutto per scoraggiare influenze classiche (o meglio contemporanee) dell'improvvisazione da lui presentata, è caustico nel sottolineare che i confini del jazz fossero già stati gettati più avanti in quegli anni e che si fosse in presenza di una nuova sostanza musicale, fondata sull'ascolto e sulla difformità dell'approccio musicale rispetto a quello classico, frutto di una più ampia e riconosciuta libertà, distribuita in ogni campo della musica (il riferimento è, oltre che al jazz, alle avanguardie rock di un certo tipo): è una valenza umana e sociale che si vuol colpire, è un contesto utile per determinare un "prototipo" di ascoltatore quello che si vuole fare emergere dalle bibliografie/discografie parziali che concludono ogni capitolo. La concentrazione si acuisce sui luoghi, sui cds e sulle abitudini, evitando di approfondire i problemi legati alla politica o alla razza, che pur insistono in quegli anni e in quei contesti: c'è una convergenza sul mistero delle sigle che dominano copertine ed albums, sul rapporto con lo scenario tedesco ed olandese, sull'ineluttabilità di lavori come Karyobin (SME) o The Crypt (AMM) e le molte, specifiche etichette nate in quel periodo (Incus, Emanen, Matchless, e così via). Naturalmente non posso fare a meno di evidenziare come anche il testo di Barre non prenda minimamente in considerazione le differenze stilistiche tra l'improvvisazione inglese e quella degli altri paesi europei.
La recente pubblicazione del secondo volume, avvenuta ancora in edizione ridotta e che prende in considerazione la seconda generazione di improvvisatori inglesi, resta ancora un mistero per chi non è riuscito ad acquistare il libro in tempo utile: il file Kindle Amazon è stato ritirato a causa di problemi tecnici, e perciò lo scrivente non può che utilizzare i commenti di chiusura di Beyond Jazz, in cui Barre forniva già un antipasto di quello che sarebbe stato scritto su Convergences, divergences & affinities: The second wave of Free Improvisation in England, 1973-1979. I musicisti presi in considerazione, da Steve Beresford a David Toop, da Lox Coxhill a John Russell, portano dentro i semi della prima e cercano di costruire prolungamenti: lo scenario di fondo inglese è mutato a favore del punk e c'è una maggiore apertura tra gli artisti per generi diversi: Barre parla di maggiore attenzione alle dinamiche, alla microtonalità, alle integrazioni tra aree musicali. Nell'attesa che si sistemino le questioni tecniche (magari pensando ad una nuova ristampa) e poter affrontare la lettura di Convergences, divergences & affinities, non posso far altro che prendere atto che almeno Beyond Jazz è un lavoro godibile e polarizzato che riapre il ricordo di un ambiente specialissimo, votato ad un'impostazione autorevole della sua creazione, con naturali ed incredibili connessioni con la musica colta e il marxismo; circostanze che sono chimere, di questi tempi.



     

Subscribe to receive free email updates: