Un bel libro sull’innovazione contemporanea arriva dai Quaderni del Conservatorio Verdi di Milano (edizioni Ets). Fare Strumento: Composizione, invenzione del suono e nuova liuteria fa compartecipi di un argomento dibattuto nella critica classica odierna, ossia la possibilità di allungare l’ottica delle tecniche estensive ed ottenere musica attraverso oggetti e strumenti preparati. E’ argomento dibattuto perché essendo qualcosa che va ad impattare sulla materia del timbro, ne produce un'ampia casistica e in alcuni casi tipologie specialissime, perché prossime al rumore e all’inarmonico. In questo libro curato da Gabriele Manca e Luigi Manfrin, alcuni compositori, musicologi e musicisti italiani si sono impegnati con i loro saggi a fornire la loro esperienza in materia e, allo stesso tempo, tentano una ricostruzione logico-estetico del ricorso alle nuove tecniche:
a) centro vitale di tutta l’analisi sono le “trasformazioni” strumentali di Giovanni Verrando (compositore che può vantarsi di aver già scritto nel 2012 un libro ricercatissimo sull’argomento), che qui illustra molti segreti di Krummholz, una delle sue ultime composizioni in cui verifica in maniera originale tutto l’armamentario riconducibile alle nuove manifestazioni del timbro: spettri, amplificazioni ad hoc, violini totalmente ricostruiti o “danneggiati” nelle loro parti fisiche, aprono realmente ad un nuovo mondo sonoro, che Verrando sistema anche sotto l’aspetto notazionale;
b) Maurizio Azzan compie, invece, una bellissima ricognizione sul suono e sul moto vibratorio, invitando ad un maggiore approfondimento delle caratteristiche di esso, al netto di pregiudizi sulle forme e sulle strutture che hanno caratterizzato la composizione a danno delle scoperte timbriche: parla di un suono instabile, in barba all’oggettività dei parametri ed in piena avanscoperta nel nuovo secolo: “… questo cambiamento di prospettiva, che in ultima analisi ha portato a riconsiderare da un diverso punto di vista i concetti di suono, gesto, scrittura e forma, ha generato nuove possibilità espressive che hanno allargato notevolmente la geografia del possibile musicale superando la semplice emancipazione del rumore e dei suoni complessi così comune in questi anni….”;
c) Zeno Baldi, nel suo saggio, invita all’indagine del suono, in quelle zone sonore in cui è difficile arrivare: frequenze al limite dell’udibilità o inudibili, parziali inarmonici, sfruttamento dei battimenti ed altre prassi esecutive;
d) Emanuele Palumbo, dopo aver fissato un sistema logico di relazioni tra brano, compositore ed interprete, mette a disposizione del lettore l’esperienza del Trio per violino, violoncello e pianoforte, composizione sulla quale il compositore ha lavorato moltissimo sulla preparazione di un archetto scanalato, in grado di produrre determinati effetti sonori, fino ad arrivare ad una polarità del suono degli archi;
e) Simone Beneventi, invece, documenta con un preciso saggio l’impegno per ricostruire Golfi d’ombra, una composizione per percussioni di Romitelli mai completata, attraverso manovre e processi non consueti;
f) Francesco Filidei, intervistato da Azzan, evidenzia il rapporto indiretto con il suono ottenuto attraverso la gestualità o l’impiego di oggettistica varia (dai giocattoli alle pentole), oppure insolita come quella dedicata al richiamo degli uccelli;
g) non manca, naturalmente, un luogo per esprimere un parere contrario: se ne occupa nel suo intervento Emiliano Turazzi, che esprime tutto il suo sconforto nel constatare che, tutta la raccolta di diteggiature del sassofono contralto da lui istituita dietro ampio lavoro nel tempo (compresi armonici e parziali), non era in grado di fornire una base definitiva di composizione, costringendolo a ritornare comunque sullo strumento;
h) nel suo saggio la musicologa Giulia Accornero tenta di stabilire anche una nuova organologia per questa rinnovata liuteria strumentale, con uno studio storico ed estetico approfondito che si sviluppa sin dai primi del Novecento;
i) il problema dell’accoglimento della nuova liuteria è dovuto al fatto che c’è ancora un’enfasi controllata sulla questione del timbro, pur essendoci un avanzamento e riconoscimento delle possibilità creative: in tal senso sono efficacissime le parole che Franck Bedrossian rilascia alla Accornero, in un’intervista chiarificatrice: nel momento in cui gli spettralisti hanno usato la tecnologia visiva per inquadrare e studiare lo spettro degli strumenti, hanno compiuto un percorso dannatamente succube dello strutturalismo, che non ha permesso (anche alla seconda generazione di spettralisti) di sviluppare la composizione secondo un’esplorazione del suono complesso; Bedrossian nega che ci sia stata La révolution des sons complexes così come previsto da Murail, perché i spettralisti hanno composto continuando a seguire le altezze, fin quando poi non hanno abbandonato quel tipo di composizione. La saturazione è stata, dunque, la dottrina che mancava, perché ha usato gli spettri per sviscerare gli aspetti intrinseci del suono e del suo possibile divenire, liberando nel contempo un’instintività che lo strutturalismo aborriva;
j) tutta l’attenzione al suono si basa anche su una fenomenologia dell’ascolto, che in questo nuovo secolo sta sostituendo la bontà dell'analisi delle partiture: con molto piacere si legge l'intervento del professore di filosofia Paolo Mottana, che da tempo sta mettendo in piedi l’ecfrasi della musica, ossia una nominazione degli eventi sonori come frutto di un collegamento all’immaginazione che suscitano tali eventi a livello emotivo. Chi legge le pagine di Percorsi Musicali può star certo di aver immagazzinato in quantità industriali questo nuovo simbolismo descrittivo del flusso emotivo.
In definitiva, Fare strumento. Composizione, invenzione del suono e nuova liuteria è un libro che pur rivolgendosi, per il linguaggio utilizzato, agli addetti ai lavori, dà motivi di interesse alla lettura eterogenea per i risvolti che contiene: qui c’è tanto futuro e tante domande... e non solo musicali.