Suoni della contemporaneità italiana. Contrappunti, frammenti e dispositivi elettronici nella musica di Zeno Baldi


E' auspicabile che l'idea di una struttura musicale formata con mezzi elettronici o digitali possa essere trasferita nella composizione contemporanea? E' possibile un riassorbimento di quest'ultima, una ricomposizione portata avanti con le regole e dinamiche che le appartengono, ma che filtra allo stesso tempo un obiettivo del suono? Se ci pensiamo bene la musica contemporanea è già stata raggiunta da queste situazioni, insinuandone una gamma che va da quelle più semplici da attuare a quelle più articolate: penso, da una parte a John Luther Adams, che ha trasposto il drone nell'orchestra, dall'altra alle operazioni di Haas o Andrè, che sfidano le orchestre a tenere comportamenti che flirtano con le proprietà fisiche dei suoni. 
La Stradivarius ha recentemente stampato la prima monografia del giovane compositore Zeno Baldi (1988), che nell'ambito di quella creatività tanto speciale che si invoca in Italia, potrebbe certamente rivestire un posto importante, soprattutto in relazione a quanto detto prima. La ricerca più interessante di Baldi si basa su un particolare equilibrio raggiungibile dai suoni, che è di peso e ritmo: si parte da un'analisi concreta dei suoni (che viene investigata sulla base di spunti coltivati con più dispositivi elettronici) affiancabile alla strumentazione; il peso è calibrato/calato in particolari estensioni degli strumenti o nel loro rafforzamento amplificativo, il ritmo, invece, è costantemente frammentato e fa da telaio a tutta la materia composta tramite le sequele previste per la composizione contemporanea. 
I dispositivi elettronici (pedaliere, synths percussivi, loops, nastri, microfoni a contatto, ecc.) sono essenziali per animare l'impianto immaginativo e in quasi tutte le composizioni si intrufolano su qualche strumento, portato timbricamente ad altro valore; essi dettano le regole di una speciale intersezione con la composizione, che si adegua con le sue specificità ad un canovaccio che non gli appartiene. 
In Bonsai (questo il titolo della raccolta affidata ad un eccellente Divertimento Ensemble diretto da Sandro Gorli), Baldi insinua forse un ripensamento, un dadaismo detrattivo della musica contemporanea, il principio sano che solo i suoni buoni possono fare la differenza e non solo una struttura ben corredata di elementi ma non funzionale al risultato. Sotto questo aspetto la sua attività collaterale di designer musicale lo aiuta moltissimo a trovare delle soluzioni che sono immediatamente reattive e assimilabili facilmente.  
In Bonsai si genera un'equilibrio perfetto tra una parte dominante (costruita su un Modeling Percussion Synthetizer) e la strumentazione classica. L'ensemble non ha da lavorare tanto sulla difficoltà tecnica quanto su quella interpretativa, poiché deve mettersi in allineamento a questa oasi sonora composita, dove il gesto deve essere calibrato e interattivo. Ma alla fine tutte quelle simulazioni restituiscono un incredibile sensazione subliminale, la possibilità di respirare realmente un'area di "verde" miniaturizzato di un ipotetico spazio e-commerce di fiori e piante.
Il clarinetto di Maurizio Longoni è protagonista di Kintsugi, una composizione con una parte perennemente fluttuante, un soffio costante imbastito sullo strumento che si confronta con una parte di elettronica reale con dentro pezzi concreti, ridondanze glitch e bit, brevi effetti di campionamento. Nella parte finale il clarinetto quasi cinguetta e segue il principio della deframmentazione sonora come conseguenza dell'arte della riparazione giapponese degli oggetti in ceramica. 
Mimo è meno recente ma è già attraente la funzione percussiva degli strumenti; contrabbasso e violino dimenticano quasi sempre l'archetto e lavorano solo con le mani sulle cordiere, ma anche il pianoforte utilizza una preparazione su alcuni tasti che l'avvicina ad un suono sintetico, ricavandone forza ritmica e risonanza. Qui il mimo sembra proprio di vederlo, pian piano si materializza un'immagine neurale che è in grado di catturare l'essenzialità della movimentazione.
Manuel Mayr è il frammentatore di Morene, per contrabbasso amplificato e pedali. Si tratta di tre movimenti da rappresentare: triti, ritriti, detriti. Qui la simulazione ci porta in un territorio assai lontano dal suono convenzionale del contrabbasso: composizione totalmente delineata dalle trasformazioni ottenuta tramite la pedaliera, Morene propone di restare in ascolto di suoni meno noti. Un tocco sul corpo dello strumento apre una valanga, un allargamento dello spettro, che va nella direzione di quella composizione microfonata che tende a mettere a nudo senza regole qualsiasi parte dello strumento: nel movimento dei Ritriti si scopre una parte ricchissima  e riuscita di armonici, ma sono molte le relazioni sonore suscitate dai gesti di Mayr, che in alcuni momenti sembra replicare un sound sculpture o un temerario improvvisatore, e quando Detriti ci porta nella sua cadenza quasi techno, si capisce che gli sforzi di Baldi sono qualcosa in più di un semplice tentativo di mischiare le carte, dato che le sue influenze non stanno solo nella musica classica. 



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