Quando si parla di "massimalismo" nell'arte si producono molte versioni: quella più conosciuta si riferisce a quell'opposto del minimalismo, come corrente del design (un'esplosione di oggetti, forme e colori), della letteratura (alcuni testi di Pynchon, Wallace, DeLillo, etc.), dei dipinti (una densità lampante, effetto delle quantità usate), e con più difficoltà della musica (tutto ciò che entra in un range di rappresentazione, con significativa espansione delle tonalità, perciò qualsiasi complessità musicale). Quanto alla musica, qui ne propongo un significato più specifico, senza costruire nessun opposto al minimalismo così come l'abbiamo inteso e definito nelle musiche di Riley, Reich, Glass, etc. L'elemento ripetizione resta al suo posto, ma viene amplificato nel numero degli strumenti utilizzati: su questo versante compositori come Charlemagne Palestine, Rhys Chatam, Arnold Dreyblatt e il compianto Glenn Branca, hanno inchiodato gli ascoltatori con le loro lunghe suites tese alla ricerca di un effetto sugli overtoni. Branca ha peraltro stravolto il concetto della "sinfonia": con l'entusiasmo di un rocker è riuscito a compiere un miracolo, ossia a far sì che una sinfonia prenda forma da sè, assoggettata solo da un'idea e qualche manovra grafica impartita ai suonatori; ciò che ha sviluppato è un ribaltamento del sentiment, che scaccia una volta per tutte il ricordo romantico, introducendo una perfetta e nuova configurazione data dall'allontanamento del sublime in favore di un avvicinamento alla psicosi alienativa, attraverso sonorità che ingigantiscono i suoni e ne sfruttano la gamma armonico-timbrica partendo dall'onirico e finendo alla risonanza rumoristica; ma è tutto funzionale ad una espressività colossale, che nemmeno una grande orchestra classica, al massimo delle sue possibilità esecutive, è in grado di assorbire: nella tredicesima sinfonia (la Hallucinations City) Branca aveva persino pensato di utilizzare 1000 chitarre, dovendosi poi stringere attorno a 80 chitarristi e 20 bassisti.
C'è una domanda a cui sembra difficile dare una risposta e riguarda i rapporti tra l'improvvisazione e la composizione massimalista. Branca, in un'intervista, dichiarò apertamente la sua insofferenza alla musica improvvisata, equiparandola con eccessivo disprezzo ad una modalità della masturbazione; Branca probabilmente si riferiva alle pratiche improvvisative più complicate e concettuali dell'improvvisazione libera, tuttavia fin dalla sua prima Lesson n. 1 del 1980, lo stesso metteva in atto una pratica mista, con tanto di strumming strumentale (lo strumming equivale al nostro strimpellare) che esorcizza una struttura pensata. Sebbene Branca o Chatam rifiutassero le interferenze dell'improvvisazione nella composizione, di fatto ne applicavano un suo sistema per far decollare il contenuto delle loro disposizioni; l'ampio collettivo utilizzato nelle sinfonie e nei lunghi brani strumentali ricordava in più aspetti le coalizioni del free jazz europeo, quelle delle nutrite formazioni di Wuppertal, Amsterdam o Londra, anche se differenti erano le finalità dei raggrupamenti così posti: mentre gli improvvisatori europei di quegli anni tendevano ad una funzione socializzante della musica e non avevano limiti su dove potessero arrivare le loro intersezioni, le compo-impro dei massimalisti corrompevano volutamente l'unitarietà del suono, per cercarne uno più immenso, sovratonale, dietro le amplificazioni e la moltiplicazione degli strumenti.
Le relazioni impostate da Jan Klare, multi-strumentista ai fiati e giornalista tedesco, vicino al jazz e agli adattamenti classici, sembrano poter essere un ottimo punto di congiunzione di queste due cordate di pensiero appena succitate. Nell'esperienza del gruppo The Dorf, Klare ha gradualmente messo a punto un congegno eclatante, ingegnosamente rivolto anche a possibili sviluppi futuri. Da una parte c'è una sorta di mercato in cui incontrarsi liberamente, un villaggio dell'umanità più che una band, un posto in cui ci si muove a piacimento e dove è super sviluppato il senso della comunità; dall'altra c'è lo stordimento e l'energia a mille misurata in tanti decibel di volume.
Ciò che veniva accennato nei primi due cds per la Leo R. (l'omonimo The Dorf del 2008 e Le Record del 2011) viene nettamente esplicitato nel 2017 in un cd dal titolo Lux, in cui compare una formazione di improvvisatori composta da una voce, 5 sassofonisti, 4 chitarristi, 2 violini, un violoncello, 2 trombe, 2 tromboni, 2 percussionisti, un basso, un theremin, un synth e 3 musicisti di live electronics e dove Klare fa da conduttore (l'air movement).
Lo stesso conclude dicendo che "...sotto il guscio della loro musica, occasionalmente dura, si trovano le piantine, i poeti e i pensatori più teneri...". L'improvvisazione gioca un ruolo fondamentale perchè quasi svolge una funzione preparatoria nei confronti del tremendo addensamento volumetrico che la band raggiunge e mantiene per minuti e minuti, lavorando sull'ordigno della ripetizione sonora. Si tratta di un esperimento maturo che non solo costituisce un'eredità visibile di Branca e dei massimalisti in generale, ma anche uno dei pochi tentativi di conciliare l'impossibile matrimonio tra geometrie del suono e libera espressione.